Pistoia tra passato e presente: scelte urbanistiche e culturali discutibili.
Esiste una relazione anche fisica, tra uno spazio, un luogo e la sua storia? Questa è la domanda.
La risposta a questo quesito prevede, se lo si ritiene possibile, un diverso approccio, una particolare accortezza e gentilezza d’animo, nell’avvicinarsi ad un cambiamento urbanistico, ad un diverso arredo, se pur solo “culturale” (scultoreo, pittorico, etc.) di una città. Questa premessa vale soprattutto per luoghi come Pistoia (anche se il concetto è valido in generale), le cui bellezze che la rendono nota in tutto il mondo s’identificano in periodo storici ben definiti, in definitiva nel medioevo e nel rinascimento. In ogni città, uno spazio, un luogo, sia esso una strada, una piazza, etc., esigono, a mio avviso, quando si tratti di scelte relative all’assetto urbano, una sorta di rispetto o ancor meglio un punto di vista il più conforme possibile alla sua genesi, al suo sviluppo.
Sviluppo temporale che non a caso, definendosi e identificandosi nella storia stessa della città, termina nel momento in cui si assolutizza determinando per sempre le scelte future relative a quello spazio (ad esempio il Colosseo in maniera assoluta definisce e determina la “romanità” di Roma).
Molte città d’arte, all’interno del processo evolutivo dello spazio del proprio nucleo storico, hanno cercato validi compromessi che spesso però si sono trasformati in discutibili stravolgimenti dell’aspetto urbanistico originario. Una sorta di circolo ermeneutico privo di successo. Non che si voglia demonizzare il “nuovo”! Anzi, tutt’altro. Piuttosto si cerchi un’integrazione plausibile. In tutto questo anche Pistoia non è da meno.
Fortunatamente la nostra città non ha subito violenze paesaggistiche o urbanistiche estreme o particolarmente devastanti. Tranne che in alcuni casi, uno tra tutti l’introduzione di un elemento estraneo all’interno di Piazza Giovanni XIII o, come spesso viene chiamata, all’interno della Piazza dell’Ospedale.
La polemica non è sterile. Non si discute l’opera d’arte in sé. L’opera dell’artista pistoiese Gianni Ruffi “La luna nel pozzo” fu collocata nella piazza nel 1999. Nonostante vivaci polemiche relative alla non idonea collocazione in quel luogo, ricordiamo ad esempio l’interpellanza del marzo dello scorso anno in consiglio comunale, essa rimane dov’è.
La giustificazione ancor oggi è sostenuta da un soggettivissimo e peculiare concetto di integrazione tra classico e contemporaneo. L’amministrazione comunale può e deve decidere interventi strutturali, urbanistici, culturali, all’interno della città, è il suo compito, non è in discussione. Ma altresì è lecito polemizzare, criticare scelte ritenute perlomeno discutibili.
Ma questo non sarebbe un compito che spetterebbe oltre che ad un semplice cittadino soprattutto agli intellettuali locali?
Dove sono gli storici pistoiesi? Non si sono accorti di nulla? Se c’è una cosa che rende affascinante Pistoia è il mistero celato tra le sue “viuzze” (vedasi il volume “Pistoia Segreta” di Andreini Galli, Nori, 1991), i suoi scorci, la sua piazza che unisce in un solo colpo d’occhio palazzo comunale , Battistero, antico palazzo dei Vescovi, Cattedrale, e lo svolgimento del mercato cittadino.
Un luogo, carissimi amministratori, ha una sua vita, un suo passato, un passato che lo rende attuale perché rimane così com’è. I fregi Robbiani non hanno nulla a che vedere con la ruggine della “Luna nel Pozzo” e se questo non viene compreso significa che la ruggine ha attecchito anche in qualche cervello non meglio precisato. La polemica non può e non deve finire.
Una città è di tutti, la democrazia se pur forma di governo imperfetta, costringe all’ascolto e non permette che qualche individuo investito del potere politico dai cittadini possa stravolgere o inventarsi politiche artistiche pazzoidi.
Già nell’antica Grecia era previsto il controllo sull’agire dei governanti, non si capisce perché oggi un “qualcuno” che ad un tratto viene investito di poteri decisionali possa agire come crede, spesso, anzi spessissimo senza avere alcun minimo requisito per farlo. Mistero.
E’ stato detto che in quel luogo esisteva un pozzo e che dunque l’opera ne rappresenta la rinascita e la continuità tra passato e presente (sic!). L’opera non dovrebbe stare in quel luogo. Questo è certo. La contemporaneità esige spazi adeguati e luoghi “vergini” non luoghi già saturi di “storia”. Un’amministrazione vera dovrebbe capirlo, uomini che amano la loro città…..anche! Ma fin qui si tratterebbe solo e soltanto di un altro punto di vista. Possiamo rendere oggettiva la richiesta di togliere l’opera dalla piazza? Credo di si! Se ammettiamo che sia lecita la salvaguardia della nostra storia, se riteniamo utile ancor oggi insegnare nelle scuole la “storia”, significa che essa ha un valore che prescinde dal puro punto di vista soggettivo. In questo senso non vale la certezza della validità dell’essere dal solo fatto che “l’altro mi osserva” (Sartre). No! in questo caso si esige la oggettività dell’essere (la storia) perché essa è!
Ma la storia non è solo vicenda o evento passato da narrarsi, anzi tutt’altro. Essa vive ancor oggi nell’arte e negli spazi che essa si è riservata. Potrei mai, come insegnante, recitare la storia di Roma producendo continui anacronismi? Sarei un pessimo insegnante! Ma allo stesso modo potrei mai guardare uno spazio (storico) cogliendone in una sua parte un anacronismo senza sentirmi un idiota? Eppure è quello che succede se violentiamo un luogo introducendo elementi a lui estranei. Questo vale anche al contrario, impossibile pensare “spazi” moderni, di rilevante contemporaneità infastiditi da intromissioni classiche senza senso.
Ma certo l’andazzo contemporaneo che adduce motivi suggestivi ma infondati circa la veridicità dell’opera d’arte a-temporale, nel senso che essa sarebbe al di là del tempo, produce soggettivismi spesso non fondati. Questa è la fine dell’arte. Ma anche la fine del luogo dell’arte, del suo spazio, della sua storia. Il motivo dunque è semplice: la storia di un luogo che si è evoluto nel tempo in “quel modo” non tollera alterazioni. Una città civile non può e non deve tollerare manomissioni o anacronismi urbanistici come quello che è ben visibile in una delle piazze più belle della nostra città, dove si mostra ancor oggi la superba bellezza dei fregi robbiani.
Pistoia, 20 Giugno 2012
Testo di Massimiliano Guidicelli,
fotografia di Luca Bertinotti
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