A cuor pesante verso la “transumanza”

Considerazioni di un medico nel giorno della chiusura del Ceppo

Ognuno dovrebbe aver la possibilità di morire laddove è nato“. Con questo pensiero, condivisibile o meno, stamani, uscito di casa, mi sono incamminato verso l’Ospedale del Ceppo per il mio ultimo giorno di lavoro nella struttura.
Non cambiavo sede io. Era l’ospedale che la cambiava proprio oggi: nella notte del 20 Luglio 2013 una catena di ambulanze avrebbe trasportato i malati ancora ricoverati dal vecchio nosocomio verso il nuovo San Jacopo. Una “transumanza” epocale e definitiva di donne, uomini e bambini che avrebbe così affidato ad un santo, e non più ad un miracolo (*), la cura di questi e dei futuri concittadini bisognosi di ricovero ospedaliero.
A passo lento – cosa insolita per me – stamattina ho assaporato intensamente e registrato le sensazioni che le immagini dagli occhi portavano alla mente e al cuore.
Ho oltrepassato il ponte sul torrente Brana. Là nel nuovo San Jacopo non ci sarà un fiume ad annunciarlo…
Ho passato la grande apertura nella terza cerchia delle antiche mura cittadine. Al San Jacopo si arriva attraverso un sottopasso della Statale 716…
Sono giunto agli alti alberi di Viale Matteotti, al loro tappeto di foglie cadute, alle luci del primo mattino filtranti attraverso le fronde. Un colpo d’occhio rilassante che al San Jacopo mancherà…
Domani notte mi troverò già a lavorare nel moderno e ‘performante’ ospedale cittadino, in un luogo nuovo, in verità piuttosto lontano dalla città reale e dalla sua compagine strutturale e abitativa.

Alla soglia dei miei primi quarant’anni, dopo tredici di pratica medica ‘in trincea’ (Medicina Interna, come si è chiamata fino ad oggi) e dopo aver prestato servizio in varie sedi, non rappresenterà certo un problema insormontabile il ‘nuovo’ lavoro. Le malattie e i loro ‘portatori insani’ saranno sempre gli stessi. Gli approcci terapeutici, pur con le relative innovazioni che verranno, saranno analoghi. 
Dopo il naturale periodo di adattamento, si viaggerà di nuovo col vento in poppa. Fra i mari calmi e le immancabili tempeste continuerà così per i prossimi miei anni la normale routine lavorativa. Tutto uguale a sempre…

Ma mi mancherà il luogo dove per la prima volta 39 anni fa ho aperto gli occhi e ho lanciato il primo vagito? Oggi credo francamente di sì. Mi mancherà perché non era solo un ospedale. Il Ceppo era anche un luogo dove si respirava la storia della città, dov’era visibile, ad un occhio attento, l’evoluzione dei secoli (sette per la precisione), con tracce ancora chiaramente presenti nelle sue strutture. Tra le tante, il Fregio Robbiano, il Teatro Anatomico e il chiostro dell’ex convento del complesso di San Lorenzo, magnifiche opere d’arte degne di essere visitate da comitive di turisti.
Il San Jacopo nasce, e probabilmente sempre così rimarrà, come struttura tecnica, asettica, solo ospedaliera. Dubito che potrà ‘abbellirsi’ di tali preziosità. Ormai il rigore imposto dall’austerity non ci permette nemmeno d’immaginare che anche un luogo di dolore e di cura qual è un ospedale potrebbe essere forse molto più a misura d’uomo (e quindi ‘performante’!) se ingentilito dall’arte e dalla sua bellezza universale.

Oggi la Medicina è (purtroppo?) diventata puramente tecnica e lascia poco spazio ad una base umanistica che caratterizzava la preparazione e gli studi dei medici di un tempo (vedasi la figura del Prof. Mario Romagnoli). Non so dire se fosse meglio o peggio allora e se lo sia oggi. Mi limito a constatare, timbrando il cartellino anche stamattina, e per l’ultima volta qui al Ceppo, quanto profondo sia il mutamento avvenuto nella mia attività lavorativa anche considerando solo qualche decennio.

M’incammino ancora un po’ pensieroso lungo il corridoio, mentre osservo la fila degli infermieri che smontano dalla notte, portandosi via i loro effetti personali. Tutti sorridenti ma a denti stretti, pochi in realtà felici della nuova avventura che inizierà domani.
Non ci si abitua facilmente e subito all’abbandono del luogo di lavoro che ti ha dato tanto, sofferenze comprese. Non ci si abitua a cuor leggero…
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(*) Narra la leggenda che la Vergine Maria apparve in sogno ai due pii coniugi Antimo e Bendinella, chiedendo loro di costruire un luogo di cura nel punto in cui fosse stato trovato un ceppo fiorito in inverno. E così avvenne...


Immagini della chiusura del Ceppo (20 Luglio 2013). In sottofondo sonoro il forte temporale che ha imperversato nel pomeriggio, placandosi solo poco prima dell’inizio del trasferimento.

Pistoia, 20 Luglio 2013

Testo e fotografie di Luca Bertinotti
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3 risposte a “A cuor pesante verso la “transumanza””

  1. Maria Lorello ha detto:

    Che dire di queste tue riflessioni, se non che sono tutte condivisibili e piene di amore? Sì, grande amore per la tua professione e per il luogo in cui fino ad ora la esercitavi!
    …ma, tutti i grandi amori , col passare del tempo e delle situazioni, hanno un’evoluzione, in meglio o in peggio, non si sa!
    Sono sicura, però, che tu, con la tua sensibilità e con la passione che metti in quello che fai, riuscirai a rendere “a misura d’uomo”anche il nuovo ospedale.
    Ti ringrazio, Luca, per aver esternato queste tue sensazioni e per averlo fatto con lo stile e la capacità di creare emozioni che hanno solamente gli artisti. Hai ragione tu: un medico non deve avere solo una preparazione tecnico-scientifica, ma anche umanistica, perché il cosiddetto “malato” deve essere visto e compreso nella sua totalità.
    Grazie ancora per averci dato l’opportunità di riflettere e di emozionarci: il nostro Ceppo ci resterà nel cuore, anche per merito tuo!

  2. Cosetta Savelli ha detto:

    Mi piace molto questo , come chiamarlo? intermezzo di pensieri, di un giovane medico che sta andando al Ceppo per il suo ultimo giorno di lavoro, in quella sede. Forse avrà fatto il suo tragitto camminando o forse no, ma mi sono accorta, leggendo, di essere al suo fianco, di provare le stesse emozioni e una certa malinconica consapevolezza che qualcosa di molto importante stava finendo per sempre.Da dove arriveranno, nel nuovo ospedale, S. Iacopo, gli stessi messaggi di bellezza di secoli, la stessa sensazione di essere dentro una storia di impegni professionali mentre al di là delle grandi finestre, pulsa una città che trasmette un piacevole senso di appartenenza ad una missione, perchè no, che rende la vita e il lavoro, profondamente importanti? Questo ospedale antico, lo si voglia o no, emana un’ aria familiare che ha accompagnato generazioni , lacrime , speranze e…nuovi vagiti per la vita. L’ umida terra dell’ ex campo di volo è tutta una’ altra cosa, un’ altra storia…Comunque faccio i miei auguri al dott. Luca Bertinotti . Cosetta Savelli.

  3. Ringraziamo chi ha positivamente commentato lo scritto. Tuttavia occorre anche chiarire l’utilizzo nel titolo di un termine apparentemente così forte (“transumanza”) per chi può averlo inteso come offensivo, al di là di far notare che esso è stato virgolettato.
    Forse è poco noto, e quindi va ricordato, che, prima dello specifico significato attuale, il termine “transumanza” indicava, nelle lingue semitiche da cui esso deriva, più genericamente una ‘trasmigrazione di popoli’.
    Solamente l’immagine di una lunga fila di persone, da altre condotta, ha perciò suggerito l’utilizzo di questa parola allo scrivente.

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