Citando Pistoia

Riscoprendo Pistoia… dialogando col passato

(Un vivo ringraziamento, per la cortesia e la disponibilità rivolteci, va a Mario Lucarelli1, storico e collezionista del patrimonio librario ed iconografico pistoiese, e alla figlia Federica. A loro, all’affetto che provano nei confronti della città, si deve la variegata raccolta di citazioni un cui estratto è stato utilizzato per redigere il seguente testo) e consultabile al seguente link: Lista completa citazioni (Mario Lucarelli).


1. La cupa e fosca Pistoia…
Presentare ai contemporanei, ai Pistoiesi in particolare, un’immagine meno stereotipata, più realistica della storia della propria città, dei suoi personaggi, dei suoi luoghi, della sua arte, è scopo di questa breve riflessione personale, che non ha pretesa di essere un saggio esaustivo su un argomento più complesso di quanto possa sembrare all’apparenza.

Cercherò di far “rivivere” Pistoia attraverso le parole contenute in scritti di varia natura (non solo letterari strictu senso), testimonianze di uomini e donne che hanno abitato, conosciuto, in ogni caso amato Pistoia (anche con forti contraddizioni), appartenenti ad un arco temporale amplissimo: dall’Antichità al ‘900. Una completa rassegna di fonti che citano Pistoia, raccolte da Mario e da Federica Lucarelli, sarà visionabile nel bel sito dedicato al grande pistoiese Ippolito Desideri, curato dal Dr Enzo Gualtiero Bargiacchi.

Anche altri hanno cercato di riscoprire Pistoia, interrogando letterati e uomini di cultura del passato, nel tentativo di fornire un’immagine meno stereotipata e più veritiera: alcuni anni fa un mio collega, Giampietro Giampieri2, mi donò una sua pubblicazione, dedicata alla nostra città, il cui scopo era “tornare ad avvertire qualche sentore di “pistoiesità”… ridare udienza ad un passato cui non è stato permesso di dire a voce alta quel che era giusto che dicesse”. Giampieri ha cercato di scuotere dall’inverno di sconforto ideologico i Pistoiesi e, in primis, “studenti e professori che non tengono in alcun conto né Pistoia né la cultura che Pistoia ha prodotto”.  L’obiettivo principale di quella pubblicazione era superare, per amore della verità storica oltreché di Pistoia, il ritratto di Pistoia come luogo che offre “lo spettacolo disgustoso di pure discordie familiari e personali che, in sostanza, non furono provocate se non dalla bramosia del potere, dall’odio e dalla vendetta” (così si esprime lo storico tedesco Davidsohn nella sua Storia di Firenze). Per fare questo bisognava svegliare dalle tombe i nostri padri e “invitare al dialogo uomini quali Meo Abbracciavacca, Lemmo Orlandi, Paolo Lanfranchi, l’averroista Jacopo da Pistoia, Vanni Fucci, Cino, Buonaccorso da Montemagno, Scipione e Antonio Forteguerri, Antonio Cammelli…”.

Sfruttando la mirabile antologia di citazioni, curata da Mario Lucarelli, la mia riflessione utilizza autori e testi appartenenti ad un arco temporale più ampio, fino al Novecento; è animata tuttavia dal medesimo desiderio di risvegliare dal torpore le coscienze dei Pistoiesi, per far loro amare la propria città e il proprio illustre passato, nella speranza che l’orgoglio ritrovato serva anche a cambiare il presente e costruire un futuro più dignitoso.

All’immagine negativa di Pistoia hanno contribuito d’altra parte non solo le cronache, ma anche molti letterati con le loro opere. Come è ampiamente risaputo, Pistoia esce dall’oblio della storia grazie allo storico latino Sallustio che, nella Coniuratio Catilinae riferisce del territorio pistoiese come luogo dello scontro decisivo in cui si assiste alla disfatta dell’esercito di Catilina:

“Relicuos Catilina per montis asperos magnis itineribus in agrum Pistoriensem abducit, eo consilio uti per tramites occulte perfugeret in Galliam Transalpinam…”.  Catilina e il suo manipolo di nobili corrotti gettano subito un’ombra sinistra sulla storia pistoiese, che, come un “filo rosso”, arriverà fino ai giorni nostri: Pistoia e i Pistoiesi, in un certo senso, appaiono l’evoluzione storica di quel lontano passato poco glorioso; nelle pagine di scrittori e nell’immaginario collettivo Pistoia è associata a Catilina, al suo seguito e alla loro degenerazione morale.

Vanni Fucci, nell’Inferno di Dante, è figura fortemente icastica, destinata ad imprimersi nella memoria collettiva; divenuta presto esemplificazione di tutti gli stereotipi negativi di una città.  Le terzine dantesche ci mostrano un personaggio quasi “ferino”:

“…Vita bestial mi piacque, e non umana,
sì com a mul ch’io fui: son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana…”
(Inf. XXIV vv. 123-126)

Vanni Fucci, Guelfo Nero (ancor più inviso per questo a Dante…), è un violento, un fazioso, un brigante: soprattutto è un ladro sacrilego perché nel 1293 fu autore del furto del tesoro della cappella di San Iacopo nel duomo di Pistoia. Fatto, quest’ultimo, di cui le cronache del tempo offrono versioni discordanti, ma il cui principale colpevole, anche se la responsabilità fu accertata tardivamente (quando Vanni era già fuggito), fu appunto il personaggio che Dante incontra nella bolgia dei ladri. Si comprende, anche alla luce di un gesto irriverente verso Dio, una vera e propria bestemmia (“Al fin delle sue parole il ladro/le mani alzò con amendue le fiche/gridando: “Togli, Dio, ch’a te le squadro”) che Dante pronunci la sua celebre invettiva contro Pistoia:

“…Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
d’incenerarti sì che più non duri,
poi che ‘n mal fare il tuo seme avanzi?”
(Inf. XXV vv. 10-12)

Nell’ultimo verso della terzina Dante riconduce il carattere pistoiese all’infame discendenza da Catilina, facendo propria la leggenda che Pistoia fosse stata fondata dai superstiti dell’esercito di Catilina, briganti e gente di malaffare.

Giovanni Villani3, nella sua Cronica, considera un fatto storico certo la fondazione di Pistoia ad opera dei catilinari: “e però non è da maravigliarsi se i pistoiesi sono stati e sono gente di guerra, fieri, crudeli, intra loro e con altri, essendo stratti dal sangue di Catilina”.

Altri scrittori hanno poi rievocato la battaglia di Pistoia e indicato in questo evento l’origine della città stessa.

Il poeta Cino da Pistoia, ne Le Rime, invita la canzone da lui appena composta a raggiungere l’amata Selvaggia a Pistoia e, nel descrivere il percorso che i suoi versi dovranno fare, rievoca quella battaglia:

“Vola, Canzone mia, non far soggiorno:
passa il Bisenzio, e l’Agna,
Riposandoti appunto in su la Brana,
Dove Marte di sangue il terren bagna…”

E alcuni anni dopo, sempre nel quattordicesimo secolo, Fazio degli Uberti, nel poema didascalico Dittamondo (che, come altre opere di questo genere imitano la Divina Commedia traendone anche informazioni di vario genere…), ribadisce che Pistoia è stata fondata da Catilina e dai suoi seguaci:

“Dubbio non è, ch’ è scritto in molte cuoia
che per la gran battaglia, che fu quando
Catellina perdeo grandezza e gioia,
che assai fediti e molti ch’avean bando
nobili assai de la cittá di Roma
si raunâr, l’un l’altro perdonando.
E come gente ch’era stracca e doma
si puoser quivi, e per la pistolenza
Pistoia questa cittá allor si noma.
Indi partimmo per veder Fiorenza.”
(Dittamondo, Libro III, cap. VI, vv. 88-97).

Il ritratto di una Pistoia violenta, bellicosa, dilaniata dai contrasti di parte e da questi limitata nel suo sviluppo, sublimazione negativa di un passato infame (quello catilinario) non riscattato (già Dante aveva suggerito che i figli avevano superato, nella strada del male, i padri: poi che ‘n mal fare il tuo seme avanzi?), riappare in superficie, come un fiume carsico, anche in anni a noi più vicini, in ricostruzioni storiche e in pagine letterarie.

Ecco dunque che Sismondo Sismondi, storico svizzero che si occupa del medioevo italiano, ci fa capire che anche fuori dei confini nazionali, l’immagine a tinte oscure di Pistoia si è fortemente radicata. Scrive egli, infatti: “Venti miglia stante da Firenze… è pota una città che, malgrado la fertilità del suo territorio, e il lieto e ridente suo sito, non si rese illustre né per il commercio, né per la potenza, ma soltanto per la violenza dei suoi civili rivolgimenti, per l’intenso odio de’ partiti che la divisero, per la fatale influenza di questi partiti nel rimanente della Toscana e sto per dir dell’Italia… Quest’essa è Pistoia. Il popolo di Pistoia era forse il più violento, il più impetuoso, il più sedizioso di quanti popoli le storie abbiano mai segnato memoria” (Sismondo Sismondi, Storia delle Repubbliche italiane del medio evo).

E, sebbene Gabriele D’Annunzio voglia lasciar trasparire la sua meraviglia e ammirazione per un passato così turbolento, i versi che seguono, letti oggi, non fanno altro che gettare una luce ancora più sinistra sulla nostra città, con il sangue versato dai propri cittadini che diviene tintura di nobili e antichi palazzi:

“T’amo, città di crucci, aspra Pistoia,
pel sangue de’ tuoi bianchi e de’ tuoi neri,
che rosseggiar ne’ tuoi palagi fieri
veggo, uom di parte con antica gioia.”
(La città del silenzio)

Ma è solo sangue e distruzione la storia di Pistoia? Possiamo essere invece fieri del nostro passato? Guardando più attentamente, scopriremo che Pistoia è un tesoro da scoprire, uno scrigno di bellezze artistiche e monumentali, città che ha incantato e sa ancora incantare. Città che ha stregato uomini e donne di ogni epoca, non solo pistoiesi.

 

2. Pistoia: o del fascino di antiche memorie di pietra

Ogni epoca storica, come ogni evento umano, lascia dietro di sé ricordi di segno spesso contrastante: miseria e gloria; ombri e luci. Il tempo però sana le ferite della storia, facendo spesso dimenticare gli aspetti più dolorosi e creando una memoria, in un certo senso artificiale, in cui ogni cosa sembra ricomporsi nel segno di un’armonia consolatrice. Nel caso di Pistoia le lotte di fazione, la violenza, i bui anni delle guerre intestine, sono diventati ricordi indelebili, suggellati, come detto, inoltre da tante pagine letterarie e storiche; tuttavia, anche qui, il tempo è stato medico, per chi ha voluto farsi curare e consigliare un’altra visione della città: quel tormentato passato medievale non ci ha tramandato solo storie sanguinarie, ma anche i frutti visibili dell’arte e dell’architettura medievale, il palcoscenico in cui quelle storie vennero rappresentate realmente. E addolcite dalla bellezza delle arti, quelle vicende appaiono meno drammatiche o piuttosto funzionali a dar vita, con la fantasia, alla città di pietra.

Pistoia, in secoli a noi prossimi, è diventata, con questo passato scintillante, meta turistica di letterati, poeti e artisti: nel Settecento Pistoia faceva parte di quel Grand Tour che l’aristocrazia colta europea compiva nel Bel Paese, per il proprio apprendistato culturale, la propria formazione intellettuale e la propria crescita umana.

L’ammirazione per Pistoia e per la sua storia emerge già nelle pagine di Georgh Cristoph Martini che nel suo Viaggio in Toscana (1725-1745) annota: “La città di Pistoia è situata in una piccola fertile pianura circondata, come quella lucchese, da alcune colline… ha buone mura ed alcuni bastioni… ed è difesa da una cittadella. Le strade sono larghe e lunghe, ma vi circola poca gente…”. Si ferma a descrivere più i costumi e le tradizioni pistoiesi (come il Palio dei Berberi, antenato della moderna giostra dell’Orso) che l’architettura tipicamente medievale della città che, tuttavia, entra nella sua memoria ed ispira le pagine del suo racconto del viaggio in Toscana.

Presto penne, soprattutto straniere, rimangono estasiate dall’atmosfera tipicamente medievale di Pistoia e si incantano di fronte alle chiese di cui la città è costellata.

John Ruskin, critico d’arte britannico del Diciannovesimo secolo, compie anche lui l’obbligatorio viaggio di formazione sul suolo italiano e in alcune lettere scritte al padre e presenti nel Viaggio in Italia (1840-1845), sottolinea la bellezza dell’architettura pistoiese, diremmo quasi, l’unicità al mondo:

“…Questo è un luogo stupendo, fuori del comune… è la città medievale più intatta della Toscana e le sue chiese sono perfette…4.

“…è strano che a Pistoia abbiano una serie completa di pulpiti di marmo di ogni epoca, più ricchi di qualsiasi altro esemplare capiti di vedere altrove; il migliore supera di gran lunga quello famosissimo del Duomo di Pisa. Non ho alcun dubbio che sia il più bel pulpito del mondo…5.

Anche Odoardo Hillyer Giglioli, ispettore alle Gallerie di Firenze, critico d’arte, nel testo Pistoia nelle sue opere d’arte del 1904 individua nei pulpiti il tratto distintivo della città toscana: “…ogni centro di vita toscana ha una sua speciale fisionomia e, come S. Gimignano si può chiamare la città delle torri, così Pistoia è la città dei pulpiti…”.

Alcuni monumenti catturano l’ammirazione di uomini di cultura, non solo stranieri, e divengono rappresentativi della città stessa: l’Ospedale del Ceppo, Piazza del Duomo, la cupola della Madonna dell’Umiltà.

Ancora Hyller Giglioli, nel testo appena citato, paragona la cupola della Madonna dell’Umiltà a quella fiorentina costruita dal Brunelleschi: “…e Pistoia ci apparisce tra i suoi campanili, con la cupola di S. Maria dell’Umiltà che, a prima vista, in piccola mole ricorda la colossale e magnifica cupola fiorentina consacrata dal genio di Brunelleschi…”.

Fascino da cui sarà rapita anni dopo la scrittrice pistoiese Gianna Manzini6: “…e poi la chiesa della Madonna. Quella cupola che, quasi incombente sulla mia casa, mi persuadeva della sua magia, senza che ne comprendessi la bellezza…”.

Il campanile del Duomo rivive nelle parole di Policarpo Petrocchi7: “…guardavo tutta la città d’intorno a me, il campanile del Domo là ritto impalato, bianco, con tutti i suoi colonnini…”, epifania ancora visibile ad occhi attenti che sanno distinguere la bellezza della città medievale e dei suoi simboli, pur se circondati e a volte coperti da quelli di una modernità dimentica del proprio passato.

Ardengo Soffici8 è catturato dalla magia di Piazza del Duomo: “Intorno alla piazza del Duomo si scende e si sale come nei sogni; ad ogni volata s’incappa in un labirinto, ma si trova sempre un’uscita fiancheggiata di archi, d’urne di marmo e fior di camelie…”.

Alessandro Chiappelli9 invece, parlando dell’Ospedale del Ceppo, ricorda i frutti del Rinascimento pistoiese che vanta “un edifizio così caratteristico come l’Ospedale del Ceppo, il cui bel fregio policromo è una vera curiosità artistica…”. Secondo il Chiappelli, neanche Firenze possiede un monumento simile, ancora oggi immutato nel fascino.

 

3. Pistoia per i turisti: l’immagine della città in guide e riviste culturali

La descrizione di una città in guide turistiche e riviste culturali è anch’essa in qualche modo esemplificazione dell’immagine che la città è riuscita a dare di se stessa all’esterno: spesso inconsapevolmente, perché, nel caso di Pistoia, la bellezza della città e le sue meraviglie colpiscono  il giornalista e, attraverso il suo reportage, il turista che decide di passarvi anche solo qualche ora,  nonostante non vi sia una promozione del territorio adeguata.

Ciò che emerge dalla lettura di queste guide, di questi reportage di giornalismo di turismo culturale, è il fascino esercitato dalla città nel suo complesso, dai monumenti che ancora sono capaci di far rivivere un passato lontano, su coloro che qui passano per la prima volta: come spesso accade, esiste un’assuefazione (purtroppo) al bello in chi da esso è circondato o, più grave, una scarsa consapevolezza del patrimonio posseduto dalla cittadinanza. Leggere queste guide, come leggere le pagine degli uomini di cultura che hanno esaltato, nonostante tutto, una città tra le più belle e affascinanti della Toscana e dell’Italia, dovrebbe servire anche ai Pistoiesi di oggi, per “riscoprire” con occhi diversi il luogo in cui vivono.

Già in una guida del 1911, Renato Fondi10 parla di Pistoia, anche se accenna brevemente solo all’origine storica della città: “Pistoia, città antichissima, nasconde la sua origine nel buio dei secoli… alcune tracce di abitazioni romane, rinvenute negli scavi fatti pochi anni or sono in piazza del Duomo ci assicurano ch’essa esiste fino dal secolo IV avanti l’era Cristiana”.

Molti non possono che rimanere estasiati di fronte alla centralissima piazza del Duomo e alle chiese romaniche. Così Raffaele Ciampini ne “L’illustrazione Toscana” del Settembre 1931: “Delle piazze comunali toscane, tutte così armoniche e belle, poche raggiungono la compiuta bellezza di quella di Pistoia. Là, è davvero visibile e sensibile quell’accordo tra attività politica e fede religiosa. La cattedrale e il palazzo sorgono accanto, quella più avanzata di questo, protesa avanti, quasi ad affermare il predominio della Chiesa… la torre campanaria del Duomo è un miracolo di forza ed eleganza congiunte”.

Quasi trent’anni dopo Sirio Giannini, nell’Illustrazione del medico (dicembre 1959), usa quasi le stesse parole: “per parlare della sua storia, invece, è preferibile trovarsi nella piazza del Duomo, senza dubbio una delle più belle d’Italia…”; come Daniele Negri, in Una piazza teatro di vita, in Bell’Italia, Novembre 1996: “…la piazza rappresenta un eccezionale concentrato del potere medievale e dei suoi edifici simbolici… la innalza infine verso il cielo la torre campanaria, nelle ghiere e nelle lunette delle bifore e negli ariosi ordini di loggette superiori che dialogano col vento, muto segna tempo che scorre con la sua ombra sulla immensa meridiana della piazza”.

Il turista tuttavia deve scoprire anche le altre chiese romaniche, perché “Pistoia è la città delle belle chiese romaniche: lo sviluppo e l’affermazione dello stile romanico coincidono con i secoli di massima prosperità del libero Comune pistoiese, attagliandosi al carattere forte e dolce insieme  dei cittadini di Pistoia…”11.

In quest’ultima presentazione sembrano riecheggiare gli antichi racconti sulle lotte tra le fazioni pistoiesi; rievocare il passato della città monumentale significa d’altronde raccontare la storia degli uomini che quei luoghi hanno abitato; provare a popolare quegli spazi ora vuoti, ma un tempo teatro di gesta, drammatiche, ma pur sempre indici della vitalità di una città.

Pistoia allora ci racconta direttamente, con le sue chiese, i suoi palazzi, le sue mura, le sue vie strette, una storia dolorosa, scritta nel sangue delle lotte di fazione. Al tempo stesso questa narrazione è vigorosa prova della vitalità di una città del Medioevo italiano: il Medioevo comunale dei poteri particolari, spesso in contesa tra di loro; un Medioevo che ha saputo tuttavia regalarci testimonianze letterarie e artistiche di valore universale.

Allora possiamo provare a ripercorrere via degli Orafi. Chi entrerà allora “nella stretta ed oscura via degli Orafi, ritroverà – nonostante qualche chiassosa alterazione moderna – il carattere di quelle antiche età, durante le quali i Pistoiesi rubesti furono divisi tra Guelfi e Ghibellini, poi Bianchi e Neri, infine tra Cancellieri e Panciatichi”12.

Forse dovremo seguire il consiglio dell’architetto Michelucci13 che ci invita a scoprire Pistoia dall’alto. La città “emerge a volo d’uccello: un modo di dire per guardare la città come una volta era un indizio (il volo degli uccelli) per fondarla. Spicchiamo il volo, allora, dalla torre del Duomo.

Guardare però non basta: occorre osservare attentamente con occhi nuovi, desiderosi di scoprire la bellezza del mondo, partendo dalla realtà a noi vicina. Solo così Pistoia saprà premiarci narrandoci la sua storia, che trapela da ogni pietra, da ogni vicolo, da ogni punto di osservazione… purché sappiamo vedere con occhi nuovi, ripuliti dal desiderio di riappropriarci delle nostre origini, di conoscere una storia locale fatta di episodi contrastanti, ma significativi di una realtà sempre viva.

“Pistoia è stata sorprendente! Una sorpresa, un premio. Mi è arrivata addosso di sorpresa, mi ha preso di contropiede lasciandomi senza fiato. Avevo vissuto qui senza capire la bellezza di questa città, oggi mi è sembrata chiara, indiscutibile14.

Pistoia, 18 Ottobre 2012

Testo di Adriano Senatore, su un’idea di Mario e Federica Lucarelli,
fotografie di Luca Bertinotti

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Bibliografia

  1. Mario Lucarelli. Iconografia di Pistoia. Nelle stampe dal XV al XIX secolo. Polistampa (2008).
  2. Giampiero Giampieri. Ahi Pistoia, Pistoia… Pistoia tra storia e poesia. Edizioni C.R.T., Pistoia (2000).
  3. Giovanni Villani. Nuova Cronica, I, 32.
  4. John Ruskin. Lettera al padre da Pistoia del 28 maggio 1845 in Viaggio in Italia (1840-1845).
  5. John Ruskin. Lettera al padre da Firenze del 29 maggio 1845 in Viaggio cit.
  6. Gianna Manzini. Ritratto in piedi, Mondadori, Milano (1975).
  7. Policarpo Petrocchi. Il mio paese (manoscritto).
  8. Ardengo Soffici. La giostra dei sensi, Firenze, Vallechi (1918).
  9. Alessandro Chiappelli. Il giudizio di un giornale straniero sopra Pistoia ed i suoi monumenti. Pistoia (1882).
  10. Renato Fondi. Nuova Guida di Pistoia, Pistoia, Simonti (1911).
  11. Giulio Innocenti. Guida di Pistoia, Milani, Pistoia (1954).
  12. Alfredo Chiti. Pistoia “Viaggi in Italia, Rassegna turistica della CIT e delle Ferrovie dello Stato, n°2 (Aprile-Maggio 1950).
  13. Giovanni Michelucci. Leggere una città, Alinea, Firenze (1988).
  14. Mauro Bolognini. Giorni di Pistoia (1983).

 

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