Ho conosciuto qualche anno fa Antonio per caso. Mi ero appassionato da poco alla fotografia delle ‘necropoli moderne’ e stavo allora programmando un viaggio in Basilicata, la regione che ospita Craco, il paese abbandonato italiano forse più famoso nel mondo. Una ricerca su internet mi aveva svelato l’esistenza di un testo sull’argomento, edito da una casa editrice di Napoli. A quel tempo il libro risultava assolutamente irreperibile alle mie latitudini! Scrissi quindi all’Editore lasciando il mio recapito telefonico e con mia grossa sorpresa ricevetti il giorno seguente la telefonata di una persona gentile e brillante: era Antonio Mocciola.
A causa del poco tempo che mancava, rinunciai a ricevere una copia del libro prima della partenza per la Basilicata (per inciso, sono felice di averla poi trovata proprio nella Pro Loco di Roscigno Vecchia, uno dei paesi raccontati da Antonio, ricevendola niente meno che dall’ultimo abitante-custode del paese, il Signor Giuseppe), ma con Antonio da allora si è mantenuta una costante frequentazione, piacevole e ‘forbita’, in merito al comune interesse di studio. Io ho continuato (e continuo tutt’ora…) a girare l’Italia per documentare fotograficamente, per fermare nel tempo la situazione di decine e decine di paesi, villaggi, borghi abbandonati in ogni regione, realizzando sempre più che questo, se è forse un bene per la mia ricerca, è soprattutto un male perché segnale inclemente di una realtà sociale vasta che si è ormai, forse irrimediabilmente, estinta.
Antonio, grazie a “Le Vie Nascoste” (Giammarino Editore), nel frattempo è diventato famoso. E ritengo che la notorietà se la sia meritata: la sua opera è stata una delle prime che ha descritto la pura bellezza dei luoghi orfani, dopo quella di Vito Teti, che ha concentrato il proprio ambito d’interesse sul solo territorio calabrese nel suo “Il senso dei luoghi”, e prima di quella di Paolo Rumiz, che con “Le dimore del vento” ha indirizzato la propria indagine sul tema dell’abbandono più in generale.
Antonio, con penna sapiente, animo poetico e precisione descrittiva, ha fatto soprattutto una cosa, per mezzo del suo scritto, ed è stata una cosa importantissima: ha portato all’attenzione della gente, ha corticalizzato (mi si passi l’espressione in ‘medicalese’) l’esistenza di questo misconosciuto, fantastico patrimonio nazionale, descrivendone i pochi vizi e le molte virtù, e rendendolo così fruibile a tutti.
Sono personalmente molto grato ad Antonio Mocciola per il lavoro di ricerca che ha svolto e per il libro che da quella ricerca è nato. Anche per questo, oltre che per aver avuto il piacere di conoscerlo personalmente, è un onore poter dare spazio ad un suo brano scritto in esclusiva per la ‘9cento.
Pistoia, 27 Settembre 2012
Testo e fotografie di Luca Bertinotti
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“Ma cosa ci vai a fare?”. Eccola, la frase chiave. Quella che non vorresti mai sentirti dire, se già per natura hai un pizzico di misantropia ed una certa insofferenza per i luoghi comuni (letterariamente parlando). Mi apostrofavano così, quando chiedevo compagnia per i miei viaggi sgangherati, quelli nei paesi disabitati d’Italia. Zero abitanti, e fin qui passi. La cosa incuriosiva i meno allineati tra i miei amici. Zero autostrade, e anche qui i più romantici ci vedevano qualcosa di buono per future poesie, e gli avventurieri da salotto si immaginavano un Camel Trophy. Ma al terzo avvertimento, ecco… seguiva imbarazzato silenzio. Zero campo. “Cioè, non prende il cellullare? Non c’è wi-fi? Non mi connetto su Facebook in tempo reale?”.
E fu così che “Le vie nascoste”, la mia contro-guida dell’Italia in soffitta, ha preso forma in solitudine. Tra le vie rovinate e rovinose, inseguendo fantasmi.
I paesi abbandonati mi sono rimasti dentro, come chiavi spezzate nella serratura del cuore. Ne ho fatto piccoli ritratti, che ognuno può leggere come vuole. Antropologia spicciola, diario di bordo, guaches di provincia, malinconie decadentiste, denuncia sociale. Sono lì, come loro, esposte al sole e alla pioggia e al vento e alla neve, senza più niente da difendere, senza nessuno da sfamare, o consolare. Vita appassita.
Ho amato il lavoro di Luca Bertinotti, e la sua stupefacente e meticolosa grazia, ne condivido gli intenti e anche i non-intenti, quando si vuole semplicemente mostrare. Nature morte da ammirare. E ho capito che siamo in tanti a detestare le solite vie, che abbiamo bisogno di noi, o di quel che eravamo.
Nessuno è solo, purtroppo. O per fortuna.
Antonio Mocciola Napoli, 10 Agosto 2012