La leva militare obbligatoria

Riflessioni di un cittadino

Guerra in AfricaAl tempo della leva militare obbligatoria, fare il soldato era un rito di iniziazione civile. In campagna dove sono vissuto, si sconsigliava alle ragazze di fidanzarsi con coloro che non lo avessero ancora affrontato. La sera a veglia o nei pranzi domenicali, il babbo e il nonno, o un fratello maggiore, raccontavano episodi del proprio servizio militare seguiti con attenzione da parte di tutti i presenti.

Ho conosciuto i ragazzi di leva, lavorando dal 1963 al 1999, prima come insegnante, poi come bibliotecario e consulente psicopedagogico, presso diverse unità dell’esercito. Ho di conseguenza incontrato migliaia di persone, le quali erano inserite per un breve periodo in una comunità educante dalla struttura autoritaria. Nell’esercito di leva che ho conosciuto, i soldati assorbivano lo spirito di corpo e sottostavano a una disciplina rigorosa. Oltre a orari e compiti non eludibili, ci si doveva abituare al fatto che “il superiore ha sempre ragione”. In questo contesto i sottufficiali si ricavavano uno spazio di potere attraverso la sottomissione – curatela nei confronti di alcuni ufficiali, soprattutto sottotenenti di complemento, ma talvolta anche capitani, e perfino colonnelli. Questi comportamenti esprimevano l’esercizio di un ruolo ancillare gestito nel proprio interesse, che soddisfaceva i furbi ma rendeva inquieti i puri. Gli ufficiali costituivano una casta chiusa, dedita all’adempimento di un triplice  ruolo: di comando, di   formazione di buoni soldati e di modello esemplare.  Non tutti e non sempre, riuscivano in questa impresa. A difesa solidale della categoria, stabilivano una linea di confine fra sé e il resto della truppa che tutti accettavano come una convenzione non discutibile.

L’esercito, la marina (e  l’aviazione a partire dal 1915), erano costituiti da personale  di leva inquadrato e comandato da un mix di ufficiali e sottufficiali sia professionisti che di complemento, fra i quali solo i primi, raggiungevano i gradi più elevati. La marina e l’aviazione godevano di una ferma più prolungata  e disponevano di un numero maggiore di professionisti. Le forze armate così costituite, hanno svolto un ruolo di presidio della difesa nazionale e di strumento di guerra, dall’unità d’Italia all’8 settembre ’43, quando si sfasciarono e cessarono di esistere.

Ricostituite nel 1945, esse hanno svolto fino agli anni Novanta un ruolo di difesa territoriale della penisola italiana, sotto la  garanzia complessiva della Nato. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’implosione del sistema sovietico, la Nato e gli Usa divengono per un ventennio i gendarmi del mondo. L’Italia partecipa a tutte le missioni di pace promosse dall’Onu o dalla Nato, svolgendo ruoli operativi che  mettono in crisi la propria struttura militare e obbligano lo stato maggiore, il governo e il parlamento, a ridefinirne la natura. Tali limiti strutturali sono posti in evidenza dalla missione Ibis Somalia (1993 – 94). Prima operazione in teatro di guerra guerreggiata delle Forze armate della Repubblica, e ultimo “campo d’armi “ dei suoi soldati di leva, i quali s’impegnarono senza limiti nel dare aiuto e sicurezza alle popolazioni della Somalia, pur avendo ben presto preso coscienza delle scarse possibilità di successo, di una missione iniziata sotto i riflettori della propaganda U.S.A., e sfociata in un insieme di azioni rischiose e confuse, le quali provocarono un alto numero di morti e feriti (12 morti e 36 feriti fra i nostri soldati). La missione si concluse con un fallimento politico e militare che accelerò il progetto di sostituire la leva obbligatoria con forze armate  professionali.

La leva obbligatoria è  un istituto introdotto nel 1795 con decreto del Direttorio, nell’organizzazione militare della Repubblica Francese.  Esso era fondato sul concetto di contrapporre un esercito di cittadini, a quello di mercenari provenienti dalle più diverse aree geografiche, fino ad allora in vigore in tutti gli stati. Nel 1805, quando formò la Grande Armée, Napoleone estese la leva obbligatoria a tutti i territori conquistati, compresa l’Italia. Da allora, l’idea del cittadino soldato si è affermata presso tutti gli stati moderni e le masse militarizzate sono divenute protagoniste sacrificali di tutte le guerre. L’esperienza di un esercito e di una marina militare formati da soldati di leva,  addestrati e comandati da militari professionisti, ha avuto inizio in Italia nel 1861.  Nella Prima guerra mondiale, sono stati il sacrificio e l’impegno  delle masse dei giovani di leva, fino a quella del 1899 schierata sul Piave nel 1917, a sconfiggere gli austroungarici, e porre le basi dell’unificazione nazionale fra nord e sud. Nella Seconda guerra mondiale, sono state le classi di leva U.S.A., selezionate e addestrate velocemente in patria, e rese competenti dai combattimenti sostenuti in tutto il mondo, a sconfiggere i professionisti di Hitler.

Terminata la guerra, le nuove forze armate italiane hanno cominciato a ricomporsi nel settembre 1945, con l’arruolamento obbligatorio  di una massa di giovani, figli di quegli umili soldati che avevano combattuto dal giugno ‘40 al settembre ’43, sui fronti dell’Europa e dell’Africa, dove erano stati inviati con armi antiquate, pochi mezzi, e troppi ufficiali superiori ricchi più di galloni che di competenza. Molte delle reclute del 1945, avevano le proprie case e le proprie città devastate  dalla guerra. Alcune, provenivano da paesi del sud d’Italia dove non c’era la luce elettrica né la scuola elementare.

Dal 1948 le Forze armate italiane hanno la missione di attuare l’articolo 52  della Costituzione, per il quale “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.  Considerando che nella polis greca, il conseguimento dell’istruzione superiore, coincideva con  la conclusione dell’addestramento alle armi, e con la conquista dello status di cittadino, mi domando se la fine della leva militare obbligatoria, sia collegata in qualche modo, con quel decadimento morale e sociale della società italiana, che ha determinato sia una diminuzione di partecipazione politica, sia un affievolimento della volontà di servizio nei confronti dello stato, oltre che del rispetto delle sue istituzioni.   E’ un dato che negli ultimi anni della leva, molti giovani interrompevano malvolentieri lo studio od il lavoro. Sopra la fine di questa istituzione, c’è stato un dibattito concluso in modo largamente condiviso, fra coloro che promuovevano la forze armate professionali e coloro che sostenevano il sistema vigente. Nel 2007, quando l’arruolamento obbligatorio è stato completamente sostituito dalle forze armate professionali, alcuni corpi formati da volontari, come ad esempio i paracadutisti, gli alpini e i bersaglieri, avevamo già dei soldati specializzati fra i migliori del mondo. Questo risultato era reso possibile dall’afflusso di una decina di migliaia  di giovani motivati, e da un addestramento intenso, sotto la direzione di ufficiali, sottufficiali e graduati, dotati di alta professionalità.

Per costruire le nuove forze armate, si sono dovuti adoperare uomini, strutture, protocolli ed esperienze, già operativi in questi corpi oltre che nell’insieme della struttura precedente. Istituito e reso operativo l’esercito professionale,  può oggi essere utile, compiere un’analisi dei valori e dei limiti del servizio di leva. Un lavoro mai eseguito e di non facile attuazione, che, a mio avviso, avrebbe dovuto precedere la costruzione delle nuove forze armate.

Pistoia, 10 Luglio 2012

Testo di Orazio Tognozzi,
fotografia tratta dall’archivio Fam. Bertinotti
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Orazio Tognozzi è insegnante, formatore, psicopedagogista e mediatore familiare e sociale, ha lavorato sia nel settore pubblico che in quello privato. Impegnato fino agli anni Novanta nel campo del politico sociale, ha presieduto associazioni, società sportive, centri di cultura e consorzi di formazione professionale. Si è dedicato successivamente, all’opera di aiuto alla persona. Andato in pensione nel 1999, ha ampliato i propri interessi, pubblicando saggi, racconti, e libri di poesie. Alcuni titoli:”Voci nel bosco”, “Il terreno del silenzio”,  “Fuochi d’allegria”, poesie, ed Montedit; “Raggi Fruscianti”, Cantagalli, racconto; “Formazione e opere di Licio Gelli” Giuseppe Laterza; “L’Agricola”, Sandron; “Licio Gelli: gli anni della Linea Gotica”, “L’acqua che sbalza” Acar; saggi. Attualmente è presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Tutte le Età Attive (ANTEAS).
Per la ’9cento Orazio Tognozzi ha scritto anche La cura del sonno.

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